Nasce a Torino il 2 marzo 1950.
Negli anni ‘90 si trasferisce a Venezia, dove fonda e dirige la prima galleria d’arte contemporanea nel Ghetto Ebraico.
Per ventitré anni si dedica instancabilmente alla promozione di artisti italiani e stranieri, affermati ed emergenti, e all’organizzazione di mostre personali e collettive ed eventi d’arte in Galleria e in sedi molto prestigiose; sviluppa un senso estetico che si rivela sofisticato e lungimirante dando fiducia a giovani artisti che vengono accolti calorosamente dal pubblico e dalla critica.
Dopo questa lunga esperienza, decide di tornare alla pittura. Sceglie come soggetto le vetrine dei negozi newyorkesi aperti negli anni ’70, i quali raccontano storie di persone che sembrano uscite da un romanzo americano e luoghi che ritornano alla mente come cartoline di un mondo ormai surclassato dalle manie della società capitalista. I suoi quadri sono porte aperte su attività storiche di cui l’artista ha deciso di preservare minuziosamente la memoria, una pennellata e un dettaglio alla volta.
La Galleria ha avuto l’onore di ospitare una sua personale nel 2021 intitolata “Yesterday” e nel 2022 le ha organizzato una doppia personale con Luigi Rocca, suo maestro, intitolata “2 Painters in a Bubble“. A luglio e agosto 2022 inoltre con una sua opera rappresentante il “sacro fuoco per la musica” ha partecipato alla mostra collettiva “Fuoco” in Galleria.
Nel 2023 abbiamo pubblicato la sua prima monografia “Open Doors”. Dal 1 novembre 2024 al 2 marzo 2025 le sue opere sono esposte nella mostra personale Crazy Little Things alle Terme di Relilax Boutique Hotel & Spa di Montegrotto Terme (Padova).
Espone a Trieste, a Torino, a New York e qui, alla Ghetto Et Cetera di Venezia.
[…] Le sue opere permeano di un realismo così perfetto e dettagliato da rimanere stupiti osservando i dettagli. Questa forma d’arte, sottovalutata e a volte criticata, nelle sue produzioni diventa un veicolo di emozioni che si delineano attraverso quell’uso del colore: intenso, corposo che avvolge i soggetti rappresentati. Affascinata da quell’America degli anni ’50-’60 i suoi dipinti riportano le ambientazioni dell’epoca raffigurando le vie dove, lontano dalla grande metropoli, fiorivano numerosi store e dove la commistione di culture e origini diverse formavano un agglomerato urbano quasi avulso dalla frenesia come a voler ritrovare quel senso di appartenenza dai paesi di provenienza. Immigrati italiani, comunità ebraiche, afro americane si fondono in un insieme di vivace vitalità.
Le opere di Donatella Bedello questo mostrano nella dovizia di particolari, nella precisione e nitidezza della forma suscitando una nostalgica visione di un tempo lontano. La sua arte pulita e particolareggiata non offusca quel senso di gioia e vitalità, anzi la risalta in ogni suo quadro. L’arte contemporanea ritrova in lei quella energia e quella capacità di riprodurre fedelmente senza essere asettica. Armonie di colori, velature e prospettive assumono quel dato significativo che la rende un’autentica artista […]
Gabriella Pastor
“Una splendida conversazione con Donatella Chiara Bedello” – intervista di Uzomah Ugwu per Arte Realizzata
Qualche mese fa Donatella Chiara Bedello è stata contattata dalla bravissima Uzomah Ugwu, poetessa, scrittrice, artista e curatrice d’arte, nonché fondatrice di Arte Realizzata, una prestigiosa rivista online nella quale arte e letteratura vengono esplorate tramite una serie di conversazioni con artisti visuali e scrittori. L’intervista (in inglese) è pubblicata sul sito di Arte Realizzata, e qui la pubblichiamo tradotta in italiano.
Uzomah: Come eserciti le tue abilità artistiche?
Donatella: Le mie abilità artistiche trovano espressione in tutti gli ambiti della mia vita fin da quando ero una bambina: in cucina, per esempio, adoro sperimentare nuovi abbinamenti e ricette nuove; negli anni mi sono dilettata nella creazione e decorazione di abiti ed elementi decorativi in ceramica e altri materiali; suono la chitarra, e anche scattare fotografie.
Uzomah: Quali artisti ti hanno influenzata in maniera più significativa?
Donatella: Sicuramente Edward Hopper e David Hockney.
Del primo apprezzo particolarmente l’abilità di utilizzare ogni strumento a sua disposizione – il tratto, i colori, le ombre – in maniera così armonica e precisa da ricreare perfettamente le atmosfere americane, soprattutto gli ambienti interni (diners, uffici, abitazioni). Ogni minimo dettaglio delle sue opere concorre a coinvolgere e trasportare lo spettatore all’interno delle scene e non come spettatore, ma come protagonista.
Di David Hockney invece apprezzo la pennellata, rapida ma precisa al tempo stesso, che esprime un talento e una visione di insieme senza pari.
Uzomah: La tua mostra più recente, “Open Dooors”, esplora le vetrine dei negozi di New York degli anni ’70. Cosa ti ha spinta a scegliere questo luogo e questa epoca?
Donatella: Sono nata negli anni ’50 e sono cresciuta con il Mito Americano: un posto e un periodo nel quale volere era potere, nel quale chiunque poteva farcela con impegno e dedizione, e tutto mi riportava lì, dalla musica alla moda al cinema alla letteratura.
Uzomah: Come sei finita ad avere questa palette di colori?
Donatella: Lavoro con i colori acrilici, che mi danno moltissima soddisfazione. Sono molto brillanti e mi danno la sensazione che il mio quadro sia quasi “patinato”, come stampato su una rivista. Scelgo le vetrine che mi ispirano di più, che mi colpiscono per colori e pienezza di dettagli, quindi la mia palette varia a seconda dell’opera che scelgo.
Uzomah: Qual è la parte migliore dell’essere un’artista?
Donatella: Ci sono moltissimi lati positivi nell’essere un’artista, ma il primo è riuscire a portare un po’ del mio sogno nella vita di altre persone. L’emozione quando mi mandano le foto delle mie opere nelle loro case è sempre grande.
Uzomah: Quale carriera intraprenderesti se potessi fare qualsiasi altra cosa oltre all’arte?
Donatella: Penso che sarei una cuoca. Mi piace interpretare il cibo e combinare il nutrimento al piacere nelle pietanze che creo. Sono molto attenta al bilanciamento degli ingredienti e credo fortemente che “noi siamo quello che mangiamo”, per questo adoro il cibo genuino e poco raffinato.
Uzomah: In quale modo l’arte è un processo curativo?
Donatella: Quando dipingo una vetrina la scopro piano piano, mi concentro, ne studio ogni singola forma, anche la più piccola, studio i colori, le gradazioni, le ombre, i riflessi, e a forza di studiarla è come se mi trasportassi al suo interno, dimenticando per forza di cose la mia quotidianità. Per me l’arte è evasione dalla realtà e trasferimento in un altro luogo e un’altra epoca. E’ come leggere un romanzo e poter dare voce dentro di me a luoghi e personaggi.
Uzomah: Cosa ti ha fatto desiderare di essere un’artista?
Donatella: Come ti dicevo, sono sempre stata creativa, fin da bambina. Quando sono arrivata a Venezia e ho aperto la mia galleria d’arte, la prima galleria d’arte contemporanea nel Ghetto Ebraico, sono entrata in contatto con tantissimi artisti, primo tra tutti Luigi Rocca, i quali hanno fatto riaffiorare il mio desiderio di trovare un’espressione alla creatività che avevo dentro.